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06/02/2022 - Area Bomarzese --- Tagliata dei Domitii ... Piramide Etrusca ... Casaccia ... Tomba di Musetto ... Mura etrusche ... Abitato etrusco di S.Cecilia ... Fosso Castello ... Cascate e Torre del Pasolini



Informazioni sull'uscita

Data: 06/02/2022

Difficoltà:

- Difficoltà media
- Spola auto/partenza escursione arrivo, non coincidenti

Distanza in auto: 130 km (a/r)

Lunghezza percorso a piedi: 7 km

Note:

         
Area Bomarzese --- Tagliata dei Domitii ... Piramide Etrusca ... Casaccia ... Tomba di Musetto ... Mura etrusche ... Abitato etrusco di S.Cecilia ... Fosso Castello ... Cascate e Torre del Pasolini
Distanza: 130
Lunghezza: 7,5
Punto di ritrovo: Parcheggio sulla Strada Mediana adiacente il Tribunale di Civitavecchia
Pranzo: al sacco
Ora di rientro: a termine escursione

GRUPPO TREKKING TIBURZI


TAGLIATA DEI DOMITII  – PIRAMIDE ETRUSCA – ABITATO S.CECILIA – TORRENTE CASTELLO – TORRE DI CHIA 

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…. in punta di piedi, sorretti dalle bacchette da trek, nel silenzio del più sacro rispetto e nel timore di richiamare l’attenzione delle “guardie dei Domizi”, attraversiamo la tagliata etrusca, proprietà e patrimonio di quella ricca famiglia romana; il divieto di passaggio sulla via, ribadito dall’iscrizione scolpita sul peperino ripassata all’interno delle lettere con vernice rossa, intendeva vietare il transito a chiunque. Ai viaggiatori che dalla Valle del Tevere attraversavano la regione in direzione del “Mons Ciminus”, di “Vetus Urbis” o dei prossimi laghi e viceversa. I Due Domizi, presumibilmente fratelli, appartenenti alla potente famiglia senatoria romana, possedevano, nel I secolo d.C., almeno una fornace per la costruzione di laterizi nei dintorni di Mugnano, ciò è attestato dai sigilli apposti su tegole, mattoni e coppi di loro produzione, utilizzati anche per erigere importanti monumenti in Roma.

Il NS. PERCORSO

Il cammino ci porta ora verso altre emergenze archeologiche che, “protette” dalla fitta vegetazione, si parano improvvisamente, a spaglio, innanzi a noi. Raggiungiamo così una sorta di manufatto a forma pentagonale, dell’altezza di circa 7 metri, con una colonnina di pietra alla base. Definito “la pirimidina,” sembra avere un riferimento astronomico con “Il Piramidone”, sito poco più in alto. Emblematica quest’ultima megalitica costruzione, ricavata da un enorme “masso erratico” di peperino scivolato dall’altipiano. La facciata fruibile si pone prepotentemente avanti alla vista, un’elevata ripida gradinata conduce dalla base a due ambienti, a “cielo aperto”, da cui si dipartono due gradinate verso l’alto per raggiungere un’alta terrazza. Su un lato sono presenti alcuni intagli che scendendo quasi alla base dovevano raccogliere in alcune nicchie del liquido.

Incerta è la funzione per cui l’opera sia stata realizzata. L’imponente manufatto, di sicura matrice etrusca, potrebbe rappresentare un altare sacrificale, un ara dedicata ad una particolare divinità o addirittura potrebbe essere stata costruita per incinerare i defunti. Comunque, qualsivoglia sia l’uso per cui sia stata concepita, ne ammiriamo l’imponente struttura, a tratti simile ad alcuni altri manufatti presenti nei dintorni di Bomarzo (Sasso Predicatore 1 e 2 etc.), con qualche analogia con le costruzioni piramidali di Macchu Picchu.

La vista della nostra “Piramide” suscita, nell’attimo, sensazioni e vibrazioni diverse in ognuno di noi, estrapolati dagli schiamazzi del Gruppo. E’ qui che conosciamo Salvatore Fosci, ragazzo del luogo, cui dobbiamo il merito della riscoperta dell’intero sito, avendo ripulito, gratuitamente, le emergenze archeologiche invase dalla macchia e dai rovi, ma lui minimizza tutto. Lo ringraziamo per la sua modestia; il suo carattere estroverso lo porta alla conversazione con tutti noi e mentre parla del Bosco di Bomarzo, trapela dai suoi occhi, tutto l’amore per la sua terra.

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Risaliamo un erto pendio fin sotto la finestraccia, una casa su due piani realizzata interamente entro un enorme masso di peperino, mentre raggiunto l’altipiano, ci imbattiamo nella stele funebre di “Musetto”” un cavallo di Bomarzo deceduto durante una competizione, qui seppellito con tutti gli onori nel più sereno camposanto del mondo. Mentre in silenzio rendiamo omaggi funebri a “Musetto”!

Percorriamo, per raggiungere la meta, un bel sentiero lungo il costone roccioso, sotto il quale si dispiega un’immensa forra lussureggiante, sulla nostra sinistra un tratto di mura urbiche etrusche, in opera poligonale, ci ricordano l’anno presumibile del loro elevato, 310 a.C., per scongiurare la conquista romana. In quell’anno i romani, seguito il corso del Tevere, avanti Orte, hanno inflitto agli etruschi, di Volsinii e Tarquinii, presso il Lago Vadimone una pesantissima sconfitta, che sancì di fatto la loro egemonia su tutta l’Etruria. Segui dopo la tregua dei quarant’anni richiesta da Tarquinia.

Scendiamo la tagliata che ci porta all’abitato etrusco di S.Cecilia. Ovunque tutt’intorno la presenza di rocce e manufatti intagliati dall’uomo. Una bella casa nel bosco prossima ad una chiesa longobarda sulle cui fondamenta sono presenti numerosissimi sarcofagi antropoidali scavati nella roccia. Tutt’intorno all’edificio di culto alcuni Menhir e varie “pestarole” che culminano con una più grande, incorporata in una costruzione complessa. Non c’è dubbio che il luogo doveva essere dedicato alla divinità etrusca del Dio Fuflun (Bacco etrusco), prima della chiara dominazione longobarda.

Non ci resta ora che percorrere a ritroso la tagliata etrusca, per riportarci sull’altipiano e prendere la direzione del Torrente Castello-Torre di Chia. Percorrendo il sentiero sul bordo dell’altipiano, ampi scenari si aprono sulla vallata opposta. Si intravede il diruto paesino di Chia, avanti l’alta Torre omonima, l’ampia valle tiberina e le colline di Giove ed Amelia.

Sul greto del Torrente incontriamo un grazioso ponte etrusco, alcuni mulini che presentano ancora le macine in dura roccia, e mentre passiamo entro una bella galleria artificiale, giungiamo avanti un’immensa piazza “fluviale” su peperino ove il Torrente ha scavato con lavorio millenario, il suo alveo dalle forme più bizzarre, a seconda del flusso più intenso centrale o delle correnti laterali. Presenti vasche, vaschette, canali, salti, tuffi di roccia fino ad una sorta di apologia alla scultura naturale, un tratto di roccia ove possenti onde sussultorie di piene hanno lasciato l’impronta del loro negativo

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Proprio sotto la cascata maggiore, un cartello affisso ad un albero ricorda che le immagini del luogo furono le prime “quinte” della scena del Film “Il Vangelo secondo Matteo” del Grande Pasolini.

Terminiamo l’escursione con la visita alla immensa torre a base pentagonale, che domina sulla cascata del torrente. Fu abitazione dello scrittore, che qui si ritirò asserendo di aver scoperto il luogo più bello del mondo.

E non possiamo non dargliene atto ove si consideri che - malgrado il tempo trascorso dalla sua morte (1975), l’aggressione dei fautori delle discariche a cielo aperto, l’opera infaticabile dei fagottari, di disboscatori ed incendiari, la pubblica incuria - il luogo conserva ancora un certo fascino.

 

 

Qualcosa sui "Domitii " Proprietari della tagliata e di alcune fornaci poste poco più avanti

Quando passai queste “contrade”, almeno 15 anni fa ed oltre, fui subito colto dal desiderio di ricercare, magari con il tempo, nella vasta letteratura latina, notizie riguardanti i due fantomatici Fratelli Domitii indicati nella famosa locuzione, per capirne qualcosa, “sconfortato” dalla mia insaziabile curiosità storica. La mia attenzione si arenò presto nel prendere atto che la Famiglia “Domitiata”, “romana” lo era tanto per dire, in realtà originaria “Gallica”, entrò nel vasto scenario del mondo politico ed egemone della Roma Imperiale, in conseguenza della estesa romanizzazione attuata dal 380 a.C. in poi. Da allora, all’alba della conquista “Veiente”, e fino alla completa realizzazione dei primari progetti proiettati verso la conquista del mondo.  Completata od incompletata, in relazione ai punti di vista e di pensiero ed ai termini propostisi e propositi dal conquistatore  “predatore”.

Le note da me ricavate discendono da lavori letterari di anonimi autori stranieri, in particolare “francesi” preoccupati, e positivamente interessati, nell’aver aver rilevato una particolare discendenza gallica “francese” dei soggetti in argomento. O dalla vasta letteratura inglese, cui debbo attribuire e riconoscere soltanto un forte e particolare amore per tutte le storie e vicende delle popolazioni mediterranee, egemoni e non (sic… salvo non aver trovato, io, la giusta chiave di ricerca e lettura).

Non trascuro di riconoscere di aver incontrato una certa difficoltà nel riportare nella nostra lingua, le nostre storie latine, tradotte in lingue estere europee, che in alcuni punti presentano accertati strafalcioni, omissioni e/o, nei modi di dire. Allocuzioni che portano lontano, traduzioni fuori senso e significato. Altro punto di difficoltà è rappresentato dall’Istituto dell’adozione fuorviante (cfr. lunga nota unica giuridica, in fondo al testo) , molto diffuso nel mondo romano, oltre alla confusione generante, nella ricostruzione importante delle genealogie, l’uso di chiamare i figli con il nome dei loro genitori.

 

 

Ancor prima che “Lucio Domizio Enobarbo Claudio Cesare Augusto Germanico” alias Nerone, divenisse imperatore romano a 17 anni (54 d.C. 68 d.C.), succedendo a suo padre adottivo Claudio, la Famiglia dei Domizi era attiva e molto potente nella VII Regio (ex Etruria). Per riconosciuti meriti bellici, intorno al primo secolo avanti Cristo, ottenne, per disimpegno, dal Governo Centrale, numerose “terre” in provincia. Apparteneva ai “Domitii” la villa Romana nell’isola di Gianutri, quella di Baia Domizia presso Cosa, l’altra in Punicum e forse in altre località ancora.

 

FRATELLI LUCANO E TULLO CURVIUS (DOMITII)

 NARBONENSIS

ATTIVI IN ROMA NEL PRIMO SECOLO DOPO CRISTO

Figli di Sextus Curvius Tullus ma forse di due diverse madri, Lucano di Dasumia mentre Tullus di Titia Marcella.

Sextus Curvius Tullius Padre nacque l’anno 10 d.C. nella Gallia Narbonense, posta a sud della Francia attuale corrispondente, all'incirca, alle odierne regioni amministrative francesi di Linguadoca - Rossiglione e Provenza – Alpi - Costa Azzurra, situate nella Francia meridionale. Precedentemente conosciuta come Gallia Transalpina o Gallia meridionale, prima delle campagne di Cesare era chiamata anche Provincia Nostra o semplicemente Provincia.

Lucanus e  Tullus  furono adottati da Gnaeus Domitius Afer, che assunsero il nome del casato dei “Domitii”.  Ovvero Gnaeus Sextus Domizio Afer Titius Marcellus Curvius Lucanus e Gnaeus Domitius Curvius Tullus.

Gnaeus Domitius Afer fece del tutto per togliere i due fratelli dalla Patria Potestà del loro padre naturale Sesto Curvius Tullius.

 

 

 

 

 

 

Gnaeus Sesto Domitio Curvius Lucanus

(comproprietario delle fornaci e della strada che a queste portava da Bomarzo, compresa la Tagliata)

 

              Sesto Curvius Lucanus nacque in una località della Gallia Narbonense l’anno 35 d.C. da Sesto Curvius Tullius e presumibilmente da Dasumia Curvius Tullius

              Lucanus Sposò Curtilla Curvius Lucanus

              Curtilla nacque nell’anno 45 d.C. I due ebbero una figlia, Domitia Lucilla Calvisius Tullius Ruso. 

              Lucanus fu console suffetto tra il 76 e il 78. 

               

              Gnaeus Domitius Afer, come già rilevato, espropriò la patria potestà dei fratelli al loro padre naturale, Sesto Curvius Tullius (Padre). 

              

              Dopo la sua “adlectio” senatoria Lucano (nel periodo repubblicano si dicevano adlecti i senatori di origine plebea, chiamati a far parte del senato, quando questo era ancora in maggioranza costituito di patrizî)  prestò servizio come prefetto per un vessillo di soldati che facevano campagna contro le tribù tedesche, e per il suo successo ricevette “dona militaria”, o riconoscimenti militari, appropriati al suo grado. 

              Quindi procedette attraverso i ranghi delle magistrature repubblicane, prima come questore assistendo un imperatore senza nome, ciò perché indicato nella letteratura postuma (probabilmente Nerone il cui nome era comunemente omesso dalle iscrizioni dovute a damnatio memoriae), poi tribuno plebeo e pretore, dopo di che lui e suo fratello furono nominati legatus legionis, o comandanti, della Legio III Augusta, incarico che includeva il governo della provincia di Numidia, dall'anno 70 a 73;

 

              Lucanus seguì la sua ammissione nel Septemviri epulonum (I septemviri epulones dal latino epulo - epulonis  banchettatore, erano uno dei quattro più importanti collegi religiosi della Roma antica, insieme a quelli dei pontefici, degli auguri e dei "quindecemviri sacris faciundis - quindecenviri Collegio sacerdotale nell’antica Roma, cui erano attribuite la custodia e interpretazione dei libri sibillini e la competenza sui culti stranieri). Tale incarico, per importanza veniva subito dopo i pontefici e gli auguri. 

              Ordine istituito, secondo la tradizione, al tempo di Tarquinio Prisco e composto dapprima di due membri, ne contò poi 10 (5 patrizi, 5 plebei),  "Essi facevano parte dei sacerdoti della religione ufficiale romana e pertanto stipendiati dallo stato, uno dei quattro più prestigiosi sacerdozi romani”.

              Quindi fu nominato governatore proconsolare dell'Africa, assistito dal fratello Tullo come suo legato nell'84/85. Se Lucano e Tullo ricoprivano contemporaneamente la stessa posizione, ciò non era una prova sufficiente che questi fratelli fossero molto uniti. Così riferisce la lettera di Plinio scritta dopo la morte di Tullo, come invalido, dove fornisce un chiaro esempio di lealtà verso il fratello, avendo disposto i suoi beni in favore della nepote Lucilla.

              Lucano sposò la figlia di Tito Curtilio Mancia.

              Tito Curtilio Mancia era un senatore romano che ricoprì diversi incarichi al servizio dell'imperatore durante la metà del I secolo. Tito Curtilio fu console suffetto nel nundinium da novembre a dicembre 55 come collega di Gneo Cornelio Lentulo Gaetulicus. 

              Non si conosce nessun altro senatore con il suo gentilicium, quindi Mancia sembra essere stato un homo novus. Le sue origini non sono note con certezza; tuttavia, ci sono diverse indicazioni che provenisse dalla Gallia Narbonensis. In questo periodo provenivano da questa provincia diversi senatori, probabilmente per l'influenza del consigliere di Nerone, Sesto Afranio Burro, “narbonense” egli stesso.

 

 

              Lucano  ebbe una figlia, Domizia Lucilla. 

              Tuttavia, Mancia sviluppò un odio per Lucano e si offrì di fare di Lucilla la sua erede solo se Lucano l'avesse liberata dal suo potere di paterfamilias; ciò avrebbe impedito a Lucano di beneficiare dell'eredità della moglie Curtilia. Lucano potrebbe poi essersi risposato con Domizia Longina.

 

              Lucano fece questo. In seguito Lucilla fu adottata anche dallo zio Tullo, beneficiando di ulteriore eredità.

              Domizia Lucilla avrebbe poi sposato Publio Calvisio Tullo Ruso, la loro figlia Domizia Calvilla era la madre dell'imperatore Marco Aurelio.

 

 

Gneo Domizio Tullo

(comproprietario delle fornaci e della strada che a queste portava da Bomarzo, compresa la Tagliata)

 

 

              Fu senatore romano e comandante militare attivo nel I secolo d.C. Il suo nome completo è Gnaeus Domitius Curvius Tullus. Fu per due volte console suffetto: la prima volta tra il 76 e il 79; la seconda volta per il nundinium dal 13 al 31 gennaio 98 come collega di Traiano.

 

              Tullus era figlio di Sextus Curvius Tullius (e fratello da parte di padre di  Gnaeus Curvius Lucanus)  e di una donna il cui nome era probabilmente Titia Marcella. 

              Plinio il Giovane spiega che il loro padre era stato perseguitato dall'oratore Gnaeus  Domitius Afer, che era riuscito a privare l'anziano Tullio della sua cittadinanza e ricchezza.

              Tuttavia, Afer fece poi sia Tullo che suo fratello Gneo Domizio Lucano suoi eredi testamentari, lasciando loro la sua fortuna a condizione che prendessero il suo cognome come loro.

 

              Il suo cursus honorum è registrato in due iscrizioni e fornisce uno schema della sua vita.

              Tullus iniziò la sua carriera senatoriale probabilmente nella sua adolescenza come membro del decemviri stlitibus iudicandis, uno dei quattro consigli dei vigintiviri, un collegio minore che giovani i cui padri erano membri del Senato e prestavano servizio all'inizio della loro carriera. 

              Questo fu seguito dal servizio come tribuno militare con la Legio V Alaudae sulla frontiera del Reno, la stessa legione in cui prestò servizio suo fratello Tullo. (La Legio V Alaudae, nota anche come V Gallica o semplicemente V.

               Fu questa una legione romana, creata da Giulio Cesare nel 52 a.C., composta da Galli transalpini. Il soprannome Alaudae (“allodole”) deriva dall'alta cresta, tipica dei guerrieri Galli, che decorava gli elmi dei legionari. La stessa parola usata in francese per indicare l'allodola (alouette) deriva dal latino alaudae, a sua volta termine prestito della lingua dei Galli. 

              Quando l'imperatore Nerone fu scelto per il senato, dietro sua interferenza, fu comandante della cavalleria  e prese parte alla guerra contro gli olandesi.

              Anche il fratello Lucano prestò servizio nella stessa legione. 

              Lucano passò poi nei ranghi delle magistrature repubblicane, prima come questore assistente del governatore proconsolare dell'Africa, poi come tribuno plebeo e pretore. Dopodiché lui e suo fratello furono nominati legatus, o comandante/i, della Legio III Augusta.  Incarico che comprendeva il governo della provincia di Numidia, dal 70 al 73 d.C. 

               Werner Eck suggerisce che Lucano assunse responsabilità civili mentre Tullo era al comando della legione. 

              A seguito di questo, lui e suo fratello furono integrati nella classe patrizia dagli imperatori Vespasiano e Tito nel 72/73. 

              Il motivo esatto della loro promozione non è registrato né noto, ma durante la loro censura Vespasiano e Tito promossero un certo numero di persone al Senato, come Patrizi, per il loro sostegno durante l'Anno dei Quattro Imperatori.

              L'anno dei quattro imperatori corrisponde, all'interno della storia romana, all'anno 69. Fu così chiamato perché durante questo anno regnarono quattro imperatori. 

Galba, successore di Nerone in carica dal giugno 68, Otone, entrato in carica a gennaio dalla guardia pretoriana a Roma dalle legioni germanicheVitellio venne eletto in  Hispania, imperatore da aprile, e Vespasiano dalle legioni orientali e danubiane, che ottenne la porpora a dicembre per tenerla saldamente per dieci anni.

 

              La vita attiva di Tullus lo lasciò "nodoso e storpio in ogni arto", per citare Plinio, il quale osserva che nella sua vecchiaia Tullo era così indebolito che poteva cambiare postura solo con l'aiuto degli altri, e aveva bisogno di aiuto per lavarsi e spazzolare i suoi denti. «Si sentiva spesso dire», continua Plinio, «quando si lamentava delle umiliazioni del suo stato di debolezza, che ogni giorno leccava le dita dei suoi schiavi».

 

 

 

              Alcune fonti dicono che fu nominato console a 98 anni. Nell'anno 108 fece testamento e poco dopo morì! 

 

 

              Non sappiamo quando nacque Tullo, ma conosciamo l’anno della sua morte. Come già indicato adottò la figlia di suo fratello Domizia Lucilla, cui devolse tutti i suoi averi. 

              Plinio non chiarisce se Tullo avesse dei figli suoi. Dice che aveva sposato una donna "con un distinto pedigree e un carattere onesto" mentre era vecchio, paralizzato e indebolito dalla sua malattia, che era stata sposata prima ma era vedova e aveva figli dal suo precedente matrimonio. Loda la sua perseveranza per essere rimasta al suo fianco nonostante le sue condizioni, ma Plinio non ci dice il suo nome.

 

 

 

 



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